Quando i rom non esisteranno più

Proviamo a fare una grande forzatura, utile solo a capirci: sostituiamo alla parola rom la parola ebreo. Il paradosso (o forse no?) ci è venuto in mente a proposito dell’incontro che si è tenuto due giorni fa alla biblioteca del Senato dal titolo “Riconoscimento, tutela e promozione delle comunità rom e sinte in Italia. Quali azioni promuovere?”. Alcuni dei relatori hanno detto cose interessanti, altri hanno detto le solite cose. Tutti con l’ansia o la speranza che il prossimo 2020, anno in cui la Strategia nazionale di inclusione di rom, sinti e caminanti arriverà a un giro di boa con la verifica ed eventualmente con aggiornamenti che, dopo otto anni dall’approvazione, si rendessero necessari porti grandi novità. O, forse, miseramente, con l’ambizione di accreditarsi per pirotecniche investiture.

Onestamente, ma sconsolatamente, il vice presidente della Commissione diritti umani, il senatore Palermo, ha dovuto constatare che di passi in avanti non se ne è fatto nemmeno uno mentre “la situazione – ha detto – sta degenerando”. Sì, perché il ddl sul riconoscimento giuridico è stato affossato in parlamento, la legge di iniziativa popolare chiusa in un cassetto e ormai nulla, la ratifica della Carta europea mai andata in aula.

Il rappresentante dell’Unar non aveva granché da dire e nulla ha detto.

E’ poi intervenuto il presidente dell’Associazione 21 Luglio, Carlo Stasolla, avanzando una proposta che con le sue stesse parole così si può riassumere: “Nella nuova Strategia 2020, e in tutte le future proposte legislative che si andranno a proporre, dovemmo finalmente affrontare di petto questioni prioritarie che non sono certamente legate ad una sola salvaguardia culturale o linguistica. Questo richiede lo sforzo di non considerare più i rom, i sinti e i caminanti come una unica specificità culturale e linguistica, ma come una pluralità di individui e comunità, alcuni dei quali vittime di una sistematica discriminazione istituzionale che ha trovato la sua espressione architettonica nei mega insediamenti monoetnici. La Strategia deve parlare la lingua dell’“inclusione”.

In altre parole, ma forse non abbiamo capito bene, Stasolla sostiene che per “guadagnarsi” l’inclusione i rom devono rinunciare a quel che sono e diventare poveri tra i poveri, diseredati tra i diseredati. Poiché la loro  carta di identità (per chi ce l’ha) li danneggia. Ed ecco che la provocazione (o la forzatura) di cui dicevamo all’inizio di questo breve resoconto, si ripropone: proviamo a sostituire la parola ebreo alla parola rom. Ma forse, se le cose si pongono in questa ottica, i rom non esisteranno più.

 

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