La solidarietà di Transform

Questo articolo, insieme all’appello e al primo elenco di firme racconto dalla nostra associazione è stato pubblicato su Transform il 15 dicembre

Anna Pizzo

Quando abbiamo chiesto a molte e diverse persone di firmare l’appello “Liberiamo Roma dall’apartheid”, riferito alle condizioni in cui vengono trattati i rom, abbiamo avuto un ventaglio di risposte molto interessanti tra chi – Edith Bruch, Domenico Starnone, Aldo Tortorella, il presidente di Sant’Egidio, Luigi Manconi, Gad Lerner, la Caritas di Latina, il direttore di Avvenire e quello del manifesto, il presidente dell’Arci, tra gli altri – hanno immediatamente aderito e chi, anche tra gli addetti ai lavori, ha risposto che apartheid era un termine esagerato e che magari si doveva parlare di “razzismo specifico”. Lo ha detto l’Unar, l’ufficio nazionale contro le discriminazioni della presidenza del consiglio, tanto per non fare nomi, e anche qualche altro “insospettabile”.
C’è stato anche chi ha preferito non rispondere, chi ha chiesto di pensarci, chi si è trincerato dietro questioni di gerarchie. Segno che l’appello ha colpito nel segno e che, come pensiamo noi di Cittadinanza e Minoranze che lo abbiamo promosso, le parole sono pietre, il tempo dei dottor sottile è finito e le cose vanno nominate per quel che sono. A Roma, e in gran parte del nostro paese, vige un regime di apartheid nei confronti dei rom che forse non ha (ancora?) prodotto legislazioni apposite, non ha dato luogo alla nascita del ku-kluz clan ma esiste e chi lo subisce ne è la prova vivente.
”Chi si indigna, nei media, tra gli intellettuali, nella politica, se si pratica un ferreo apartheid nei confronti di Rom, Sinti e Caminanti? – scriviamo nell’appello – E quante calunnie, quanti pregiudizi, azioni discriminatorie, sottrazioni di bambini alle loro famiglie saranno necessari perché ci si renda conto che nel nostro paese c’è una minoranza sistematicamente discriminata e perseguitata? Che per andare a scuola i bambini faticano il doppio degli altri? Ma chi li vede come scolari? Chi li ascolta?”. Domande senza risposte se non quelle di un bel po’ di gente perbene, non importa se ebrea, cattolica o senza religione che sì, si è indignata, fortunatamente, e del quotidiano della Cei, Avvenire, che domenica scorsa ha dedicato l’apertura del giornale, un’intera pagina interna e la spalla nella home page del sito all’appello e a dare conto della significativa raccolta di firme che prosegue (annapizzo2014@gmail.com).
Fino ad oggi i rom sono stati per lo più ignorati oppure inchiodati nelle cronache nere se in odore di aver commesso reati. Come se lo 0,03 per cento della popolazione del nostro paese (in tutto, 17,800 persone) fosse un immane pericolo, come se i 2.775 abitanti dei campi a Roma fossero una piaga pari alle cavallette. D’ora in poi, forse, se l’appello riuscirà a rompere i muri dell’indifferenza e del pregiudizio, potrebbe perfino accadere che Zingara, la donna rom a cui gli assistenti sociali pochi mesi fa hanno “rubato” il bambino non appena lo ha partorito in nome dell’”interesse del minore” (?) possa far valere i propri diritti di madre, di donna, di cittadina. Magari con il sostegno della corte europea di giustizia e del nuovo sindaco di Roma che, unico tra i candidati, ha inserito nel proprio programma elettorale la questione rom non nel capitolo sicurezza (come le buone abitudini consigliano) ma in quello dell’emergenza abitativa.

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