Morire di Covid al Quarticciolo

Rossella Marchini*
Il ragazzo, morto la notte fra il 24 e il 25 marzo, era arrivato allo Spallanzani lo scorso 11 marzo, in gravi condizioni e con una crisi respiratoria già in atto. Stanije Jovanovic, rom serbo di 33 anni, non è stato riconosciuto come tale. Per la difficoltà di stabilire l’etnia di chi sta morendo di polmonite fulminante, probabilmente. Viveva in una casa popolare al Quarticciolo con la moglie e quattro figli, aveva una famiglia numerosa nel campo di via Salviati e ogni giorno andava da loro. Eppure, dopo la sua morte non ci sono stati tamponi per i familiari o nel campo. Solo l’obbligo di quarantena, ma a quello chi vive nei campi è abituato.

Lo ricordano gli attivisti del collettivo Red Lab Quarticciolo che lo avevano conosciuto nella Palestra popolare, lo spazio di via Ostuni, un ex locale caldaie di proprietà Ater, occupato nel 2015. «Lo abbiamo conosciuto in palestra e averlo perso così ci lascia un vuoto difficile da decifrare, l’unica cosa che possiamo fare è rimboccarci le maniche e fare la nostra parte: non ci siamo sentiti di passare musica dal balcone, abbiamo preferito continuare a portare la spesa a chi non può uscire, organizzare attività per i bambini del doposcuola e, grazie ai braccianti di Rosarno che ci hanno regalato 40 kg di arance, far arrivare un piccolo pensiero alle famiglie del comitato» scrivono su un post.

Al Quarticciolo, come altrove, l’assenza delle istituzioni si fa sentire. Il quartiere si trova impaurito senza alcun sostegno di fronte al rischio drammatico del contagio. Anche qui però la solidarietà viene da chi nel quartiere ha costruito relazioni sociali e condivisione. Sono loro a non lasciare nessuno da solo, di fronte alla paura e alle difficoltà di chi ha perso il lavoro. Dal Comune li hanno chiamati per chiedere se potessero portare la spesa a due ultranovantenni con serie invalidità, naturalmente sono andati. «Ma occorre riflettere – scrivono – su una città con droni, polizia e militari in tutte le strade in cui non c’è chi va a fare la spesa per gli anziani. Gli invalidi chiusi negli appartamenti l’assessorato li affida a chi occupa le case, la sindaca va a caccia di runner nei parchi».

Lo stesso succede nel campo di via Salviati dove vivono i familiari del ragazzo morto. Lì vigili e poliziotti controllano che nessuno esca o entri, e solo una persona per famiglia può andare a fare la spesa. Ma con che soldi? I rom vivono di piccoli commerci, della raccolta di materiali, di elemosina: ora tutto questo è diventato impossibile. E nessuno si cura di sapere in che condizioni igieniche vivono dentro il recinto. Segregarli serve solo ai non rom, li cancella dalla vista. Anche per loro esiste solo l’aiuto di associazioni e volontari.

L’Associazione Cittadinanza e Minoranze, che lavora da anni assieme a rom e sinti, ha organizzato una raccolta fondi. Il presidente Marco Brazzoduro dice «Questa è una richiesta di aiuto. Una raccolta di fondi. Serve a evitare il baratro in cui il Coronavirus ha gettato una popolazione abbandonata a se stessa. Se ci si chiede chi si stia occupando dei rom e dei sinti della capitale, oltre 6 mila persone nei campi, la risposta è: nessuno». L’associazione vorrebbe sopperire, almeno in parte, a quello che le istituzioni non fanno per questa minoranza senza cittadinanza spesso in senso formale, sempre dal punto di vista pratico.

*Dinamopress

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