La solitudine dei campi rom

VLADIMIRO POLCHI *

Uno dei campi Rom di Roma

ROMA – «Io resto a casa? No. Tu resti a casa, io resto nel campo. Sta qui tutta la differenza». A parlare è un 28enne italiano, che vive nella baraccopoli romana di via di Salone. Uno dei tanti ghetti, dove fino a 6 o 7 persone si trovano a convivere in container deteriorati da 20 metri quadrati. Un sovraffollamento, che rischia di trasformare i campi rom in altrettanti focolai di diffusione del coronavirus. A suonare l’allarme sono le associazioni che da anni si occupano di assistenza: «La situazione in cui versano rom e sinti dei campi potrebbe diventare esplosiva per la circolazione del Covid-19».

Il sovraffollamento nei campi. A fotografare l’emergenza in corso è un’indagine curata dall’Associazione 21 luglio per comprendere l’impatto del decreto governativo Io Resto a Casa sui 3.500 abitanti delle baraccopoli di Roma (6 “villaggi attrezzati” e 9 “campi tollerati”). Insediamenti, all’interno dei quali vivono moltissimi minori e che hanno prodotto «la ghettizzazione di comunità rom in emergenza abitativa in spazi a loro destinati. Ma soprattutto segnati da un sovraffollamento interno alle unità abitative dove, in alcuni casi, in container di 21 mq vivono anche 6 o 7 persone».
La mancanza di acqua. Stando all’indagine, «in nessuna baraccopoli è stata segnalata la presenza di operatori sanitari disponibili a distribuire dispositivi di prevenzione o a illustrare le misure atte a prevenire il contagio. Restano quindi le azioni raccomandate attraverso la tv, che sono praticabili però solo dove le condizioni igieniche lo permettono o dove almeno c’è disponibilità di acqua corrente (scarsa in via di Salone e solo attraverso autobotte a Castel Romano)».

I bambini senza scuola, né computer. «Un fattore fortemente penalizzante è rappresentato dall’impossibilità di svolgere la consueta attività lavorativa. In quasi tutti gli insediamenti sono stati segnalati casi di famiglie con minori o anziani, che a partire dai prossimi giorni potrebbero trovarsi nell’impossibilità di disporre di beni di prima necessità. Nelle interviste emerge scarsa consapevolezza da parte degli abitanti delle baraccopoli dell’impatto che le misure imposte dal decreto potrebbero avere sull’infanzia. La sospensione dell’attività scolastica e l’impossibilità di utilizzare strumenti tecnologici indispensabili a seguire un’eventuale didattica a distanza pone i minori in età scolare in uno stato di grave isolamento, in rapporto ai coetanei e agli insegnanti».

Il rischio contagio. «Cosa accadrebbe – si chiedono i ricercatori dell’Associazione 21 luglio – se in un insediamento come quello di via Luigi Candoni, abitato da più di 800 persone di cui la metà minori, venisse riscontrata anche una sola positività? La promiscuità presente nella baraccopoli, dove si evidenzia un evidente sovraffollamento interno ed esterno alle abitazioni, è tale da poter isolare solo il paziente e la sua famiglia o andrebbe messa in quarantena l’intera comunità? È concreto il rischio che un’eventuale positività al Covid-19 riscontrata nelle baraccopoli della Capitale possa far esplodere problematiche di carattere sanitario che sarà difficile governare per gravità ed entità».

L’appello al sindaco. Per questo, l’associazione ha lanciato un appello a sindaco e prefetto per chiedere di «garantire la distribuzione di beni di prima necessità, assicurando l’accesso all’acqua potabile; assicurare all’interno degli insediamenti la presenza di operatori sanitari; predisporre per tempo, in caso di riscontro di una o più positività al Covid-19, all’interno degli insediamenti un adeguato piano di intervento sanitario, al fine di evitare che la città arrivi impreparata a tale evento».

“Una situazione esplosiva”. Il caso non è solo romano. A scrivere una lettera aperta al capo della Protezione Civile è anche Marcella Delle Donne, docente alla Sapienza, membro del direttivo dell’associazione Aizo (Associazione italiana rom e sinti insieme) e vicepresidente dell’associazione Cittadinanza e minoranze: «Faccio presente la condizione dei cosiddetti zingari che non si possono muovere dai campi, ci chiamano chiedendo aiuto perché non hanno denaro (come si sa, vivono alla giornata). Metto in evidenza soprattutto coloro che vivono in accampamenti abusivi, che non possono muoversi e non hanno nemmeno l’acqua, e gli uni e gli altri sono pieni di bambini. Se non interviene la Protezione Civile, la situazione in cui versano rom e sinti dei campi potrebbe diventare esplosiva, per la circolazione del coronavirus, trasformandoli in focolai, anzi in tanti focolai; oltre a mostrare al mondo, e a noi stessi, la nostra disumanità»
Anche in questo momento di emergenza, Repubblica è al servizio dei suoi lettori.
Per capire il mondo che cambia con notizie verificate, inchieste, dati aggiornati, senza mai nascondere niente ai cittadini.
*Da La Repubblica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *