Coronavirus nei campi. Un dramma

«Io resto a casa? No. Tu resti a casa. Io resto nel campo. Sta qui tutta la differenza!». È questa frase, pronunciata da un abitante della baraccopoli di Salone – periferia est della Capitale – l’incipit dell’indagine curata da Associazione 21 luglio volta a comprendere, dopo 9 giorni dalla sua pubblicazione, l’impatto del decreto governativo IoRestoaCasa sui 3.500 abitanti delle baraccopoli formali monoetniche della città di Roma, ovvero in 6 “villaggi attrezzati” e in 9 “campi tollerati”.

I ricercatori di Associazione 21 luglio si sono serviti di interviste telefoniche, realizzate tra il 14 e il 17 marzo 2020, che hanno coinvolto 24 soggetti dimoranti presso il “villaggio” di via Cesare Lombroso, di via Luigi Candoni, di via dei Gordiani; di Castel Romano, di via di Salone. Tali insediamenti, all’interno dei quali vivono circa 2.200 persone tra cui circa 1.050 minori, si caratterizzano per il loro carattere segregante e per l’isolamento spaziale e relazionale che ha prodotto nella città di Roma la ghettizzazione di comunità rom in emergenza abitativa in spazi a loro destinati. Ma soprattutto sono segnati da un sovraffollamento interno alle unità abitative dove, in alcuni casi, in container deteriorati di 21 mq vivono anche 6 o 7 persone.

In nessuna baraccopoli è stata segnalata la presenza di operatori sanitari disponibili a distribuire dispositivi di prevenzione o ad illustrare le misure atte a prevenire il contagio. Restano quindi le azioni raccomandate attraverso la tv e che sono praticabili, però, laddove le condizioni igieniche lo permettono o dove almeno c’è disponibilità di acqua corrente (scarsa in via di Salone e utilizzata solo attraverso autobotte a Castel Romano).

Un fattore fortemente penalizzante è rappresentato dall’impossibilità di svolgere la consueta attività lavorativa. In alcuni casi, quando eventuali risorse risultano scarse, può essere la solidarietà della comunità ad intervenire. Essa però, in tempi di contagio, dove domina la paura del contatto fisico, rischia di venire meno con conseguenze che nel tempo, per alcuni soggetti, potrebbero assumere una dimensione drammatica. In quasi tutti gli insediamenti sono stati segnalati casi di famiglie con minori o anziani che a partire dai prossimi giorni potrebbero trovarsi nell’impossibilità di disporre di beni di prima necessità. Sono proprio questi ultimi, probabilmente insieme ai bambini, la categoria che, all’interno delle baraccopoli romane, sta pagando il prezzo più alto di un decreto che interviene sulla libertà di movimento e con essa sulla possibilità, per chi vive di un’attività informale, di una sussistenza giornaliera.

Nelle interviste emerge scarsa consapevolezza da parte degli abitanti delle baraccopoli dell’impatto che le misure attualmente imposte dal decreto potrebbero avere sull’infanzia. La sospensione dell’attività scolastica e l’impossibilità di utilizzare strumenti tecnologici indispensabili a seguire un’eventuale didattica a distanza pone i minori in età scolare in uno stato di grave isolamento in rapporto ai coetanei e agli insegnanti.
Ma cosa accadrebbe – si sono chiesti i ricercatori di Associazione 21 luglio – se, come prospettato da alcuni abitanti intervistati, in un insediamento come quello di via Luigi Candoni, abitato da più di 800 persone di cui la metà minori, venisse riscontrata anche una sola positività?
La promiscuità presente nella baraccopoli, dove si evidenzia un evidente sovraffollamento interno ed esterno alle abitazioni, è tale da poter isolare solo il paziente e la sua famiglia o andrebbe messa in quarantena l’intera comunità?
L’analisi delle condizioni delle baraccopoli romane e i recenti fatti di “quarantene” di insediamenti rom a Cuneo e a Lucca, fa apparire concreto il rischio che un’eventuale positività al Codiv-19 riscontrata nelle baraccopoli formali della Capitale, lasciate nell’abbandono più totale da anni unito al disinteresse istituzionale registrato anche prima e durante l’epidemia, possa far esplodere problematiche di carattere sanitario che sarà difficile governare per gravità ed entità.

Per tale ragione Associazione ha lanciato un appello on line rivolto alla sindaca Virginia Raggi e al prefetto di Roma Gerarda Pantalone per chiedere di: garantire nelle baraccopoli romane la distribuzione beni di prima necessità e condizioni igienico-sanitarie adeguate assicurando in primis l’accesso all’acqua potabile; assicurare all’interno degli insediamenti la presenza di operatori sanitari e di mediatori culturali che possano promuovere una campagna informativa e distribuire agli abitanti dispositivi di protezione individuali; rinforzare e coordinare una rete di volontariato sociale al fine di monitorare in maniera capillare le condizioni igienico-sanitarie e la salute di quanti vivono nelle baraccopoli della Capitale; predisporre per tempo, in caso di riscontro di una o più positività al Covid-19 all’interno degli insediamenti formali, un adeguato e tempestivo piano di intervento sanitario, al fine di evitare che la città arrivi impreparata a tale evento.

«Mai come in questi giorni difficili – afferma Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio – Roma deve mostrare il suo volto di città solidale, attenta agli ultimi e garante dell’art.32 della Costituzione Italiana che estende a tutti i cittadini le azioni di tutela e prevenzione della salute pubblica. Alle 6.000 persone che oggi vivono nelle baraccopoli romane, non dimentichiamo i 7.700 senza fissa dimora. Un esercito di uomini, donne, bambini in condizioni estreme, ai quali deve essere salvaguardato il diritto alla salute a vantaggio loro e a tutela dell’intera collettività».

*Per firmare l’appello o leggere l’indagine integrale, www.21luglio.org

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