Censimento “selettivo”. Lettera al prefetto

Ai prefetti
Loro sedi
31 Luglio 2019

Illustrissimo prefetto,

in riferimento alla circolare del ministro dell’interno del 15 Luglio 2019 n. 16012/110 avente come oggetto: “Insediamenti di comunità rom, sinti e caminanti”,
premesso che
⮚ la minoranza rom e sinta in Italia non gode di alcuna condizione giuridica specifica che ne consenta l’identificazione in quanto il legislatore approvando la legge per il riconoscimento delle minoranze linguistiche n. 482/99 a proposito della minoranza rom e sinta ha rimandato a specifica legge il riconoscimento della minoranza rom e sinta in quanto diffusa su tutto il territorio nazionale e conseguentemente il mancato adempimento della raccomandazione del legislatore e l’inosservanza del dettato costituzionale a proposito di riconoscimento e tutela delle minoranze rendono giuridicamente arbitraria l’identificazione di cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari identificati come cittadini dietnia rom e sinta;
⮚ si configura quindi un duplice atto discriminatorio nella “ricognizione” degli insediamenti in oggetto in quanto tali insediamenti vanno individuati su base etnica e successivamente nell’individuazione della fattispecie di “insediamenti rom, sinti e caminanti” come oggetto esclusivo di interventi volti a ripristinare legalità, ritenendosi ragionevole che se deve esserci contrasto all’abusivismo della fattispecie in oggetto (insediamenti spontanei o regolari) esso non può rivolgersi in maniera esclusiva alle comunità rom, sinte e caminanti, dovendosi ritenere gli abusi, di qualunque natura, tali senza connotazioni etniche;
⮚ la previsione di sgomberi contenuta nella circolare laddove si dovesse applicare deve tener conto che l’Italia è uno degli Stati firmatari della Convenzione Internazionale per i Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR: Organizzazione delle Nazioni Unite, Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, New York, 16 dicembre 1966, entrato
in vigore il 3 gennaio 1976, articolo 11. Ratificata con la Legge n. 881 del 25 ottobre 1977 “Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale ai diritti civili e politici con, protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e 19 dicembre 1966”. In base a tale patto lo Stato italiano deve tutelare il diritto a un alloggio adeguato, di cui all’articolo 11 dell’ICESCR, che non fa riferimento solo a standard minimi di vivibilità, ma anche al dovere dello Stato di non permettere o eseguire sgomberi forzati. Nel suo Commento Generale n. 4, il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali (CESCR), fornendo un’interpretazione autorevole dell’ICESCR, ribadisce che, a prescindere dal tipo di proprietà in cui si vive, tutti hanno diritto ad un livello minimo di sicurezza di quella proprietà (Organizzazione delle Nazioni Unite, Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, Commento Generale n.4: il diritto ad un alloggio adeguato (articolo 11.1 della Convenzione),13 dicembre 1991. Nel suo Commento, il CESCR definisce gli sgomberi forzati come “l’allontanamento permanente o temporaneo contro il volere di individui, famiglie e/o comunità dalle case e/o terre da loro occupate, senza alcuna appropriata forma di provvedimento legale o di protezione in generale.” Si nota peraltro come il termine “occupare” utilizzato dal CESCR sia del tutto svincolato dal diritto al possesso, in quanto gli sgomberi forzati non devono lasciare gli individui senza alloggio né violare altri diritti umani. Nel summenzionato Commento Generale n. 7 il CESCR individua le garanzie procedurali da adottare nel condurre degli sgomberi, ossia: a) lo sgombero deve essere accompagnato da una reale consultazione con gli interessati; b) lo sgombero deve essere preceduto da un preavviso congruo e ragionevole; c) è necessario fornire informazioni sugli sgomberi previsti, e, se del caso, sulla rassegnazione di un terreno o di un alloggio, fornito in un tempo ragionevole a tutte le persone interessate; d) durante l’esecuzione dello sgombero, soprattutto quando sono coinvolti gruppi di persone, è auspicabile la presenza di agenti o funzionari di governo; e) si deve procedere all’identificazione di tutte le persone che effettuano lo sgombero; f) è necessario che non vengano eseguiti sgomberi in condizioni atmosferiche avverse o di notte a meno che le persone colpite prestino il loro consenso; g) dev’essere garantito l’accesso ai rimedi previsti dalla legge; h) si deve garantire l’assistenza legale alle persone in stato di bisogno che vogliano introdurre un ricorso dinanzi alle autorità giudiziarie. Gli sgomberi forzati inoltre possono violare l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU) (In merito alla diretta applicabilità della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali si rinvia alle sentenze della Corte Costituzionale n. 348 e n. 349 del 2007, a partire dalle quali la Corte ha costantemente ritenuto che «le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali») che stabilisce il diritto al rispetto della vita privata e famigliare e che limita l’ingerenza dell’autorità pubblica ai soli casi tassativamente previsti dalla legge dovendo costituire “una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.” Negli anni la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata più volte sul diritto al rispetto della vita privata e famigliare e sulle azioni di sgombero degli Stati membri, riconoscendo la violazione dell’articolo 8 della CEDU in casi in cui le procedure di sgombero si erano svolte in maniera sommaria e in dispregio delle garanzie procedurali oltre che in carenza di un’adeguata proporzionalità, in quanto, sebbene tali misure avessero perseguito fini legittimi, non erano accompagnate da un adeguato contemperamento degli interessi e di un’offerta di una soluzione abitativa alternativa. In particolare la Corte ha riconosciuto nella sua giurisprudenza il principio secondo il quale ai rom dovrebbero sempre essere fornite alternative alloggiative quando vengono sgomberati forzatamente, tranne nei casi di forza maggiore. Al pari della CEDU anche la Carta Sociale Europea Riveduta è annoverabile tra le fonti di diritto internazionale in materia di sgomberi forzati, con le previsioni di cui agli articoli 31 (diritto all’alloggio), 16 (alloggio della famiglia), e 30 (povertà ed esclusione sociale) ed articolo E (non discriminazione). In risposta alle denunce collettive contro l’Italia, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali si è per ben due volte pronunciato sulla condizione dei rom e dei sinti in Italia riconoscendo la seconda volta una violazione aggravata dell’articolo 31 comma 2 della Carta Sociale Europea Riveduta per il ricorso a sgomberi forzati ai danni di gruppi di persone in situazione di vulnerabilità, senza rispettare la dignità umana delle persone coinvolte e senza aver proposto loro alcuna soluzione abitativa alternativa;
considerato che
⮚ per quanto riguarda il tema cogente della sicurezza dei cittadini tutti, la prospettiva di un’azione di sgombero generalizzata sul territorio nazionale di alcune migliaia di cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari senza alternative è un elemento drammatico di grave instabilità, di costi sociali assai pesanti prima di tutto per donne, uomini e bambini coinvolti, che perdono quella sicurezza comunque ottenuta su abitazione, lavoro e scuola; inoltre oltre a costi umani e sociali enormi costituisce un elemento di ulteriore peggioramento della stessa sicurezza della cittadinanza in generale, perché, come è ovvio, un campo, regolare o irregolare ma stabile è più permeabile a politiche di inclusione e più controllabile anche dalle forze dell’ordine, mentre migliaia di persone in mezzo alla strada e senza risorse da qualche parte dovranno pur andare e in qualche modo dovranno pur sopravvivere;
⮚ a differenza di quanto affermato – cioè che il pieno superamento dei campi rom sia in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea – non esiste alcun ordinamento dell’Unione Europea che preveda il superamento dei campi rom – presenti in numerosi Stati dell’UE – semmai esistono raccomandazioni sul tema rivolte a superare forme anche abitative di ghettizzazione ed esclusione sociale, come i grandi campi fuori dalle aree urbane, obiettivi che sono legati più a superare un pregiudizio antizigano che riguarda il 78% della popolazione che esclude rom e sinti dalla vita sociale e civile indipendentemente dalla loro situazione abitativa;
⮚ l’unica normativa nazionale vigente, la Strategia nazionale inclusione Rom, sinti e Caminanti 2012-2020, attuazione comunicazione Commissione europea n. 173/2011, approvata dal governo italiano prevede: “Necessità di superamento del modello dei campi per combattere l’isolamento e favorire percorsi di interrelazione sociale, pur nel rispetto delle
consuetudini abitative dei Rom, Sinti e Camminanti; Valorizzazione delle esperienze dei Comuni; Assicurazione della partecipazione diretta dei beneficiari degli interventi sin dalle prime fasi, avvalendosi di mediatori e di professionalità anche del mondo RSC. Considerazione del più ampio spettro di opzioni abitative per favorire l’uscita dai campi.
In questo percorso di transizione, per i Comuni sarà possibile valutare un
ampio spettro di opzioni abitative, quali: edilizia sociale in abitazioni ordinarie pubbliche sostegno all’acquisto di abitazioni ordinarie private sostegno all’affitto di abitazioni ordinarie private autocostruzioni accompagnate da progetti di inserimento sociale affitto di casolari/cascine di proprietà pubblica in disuso; aree di sosta per gruppi itineranti; regolarizzazione presenza roulotte in aree agricole di proprietà di RSC”.
⮚ tale Strategia, in vigore fino al 2020, è stata oggetto di un incontro ampiamente e tempestivamente calendarizzato per il 23 Luglio tra il sottosegretario di Stato alle pari opportunità, il diretto e dell’UNAR Ufficio antidiscriminazioni razziali, isituito presso la presidenza del consiglio) e la Piattaforma nazionale RSC, che comprende il Forum delle associazioni RSC, con l’obiettivo di verificare le azioni messe atto e da mettere in atto dal governo per la sua l’applicazione e istituire a tale scopo un tavolo interministeriale, risultando pertanto sorprendente la parallela iniziativa del ministro dell’interno che pare volta a identificare le comunità RSC e i supposti abusi e irregolarità esclusivamente allo scopo del loro sgombero sotto la voce “ripristinare la legalità”, senza coordinamento e anzi in aperto contrasto con la suddetta Strategia governativa e le sue finalità;
⮚ nel caso della regione Emilia-Romagna vale inoltre l’applicazione della legge regionale n. 11/2015, basata sul riconoscimento delle identità culturali e sociali di rom e sinti e delle loro specificità con i conseguenti interventi che promuovono la sperimentazione e lo sviluppo di soluzioni insediative innovative di interesse pubblico, quali le microaree
familiari, pubbliche e private, processi di transizione alle forme abitative convenzionali; sostengono iniziative, anche sperimentali, di autocostruzione e auto recupero, nell’ambito di percorsi di accompagnamento all’autonomia socio-economica e abitativa;
⮚ è stata presentata diffida da parte di molte delle scriventi associazioni avverso a qualunque forma di ricognizione, censimento, raccolta dati di cittadini che abbia come unico riferimento insediamenti definiti di comunità rom, sinti e caminanti;
⮚ comunque, la stessa circolare del ministro dell’interno prevede “di definire strategie condivise, coinvolgendo anche le associazioni interessate e gli interlocutori non istituzionali, finalizzate al superamento delle situazioni di degrado singolarmente individuate e al ripristino delle condizioni di legalità, in caso di eventuali illegittimità riscontrate, caso per caso, anche nelle strutture autorizzate”
Tutto ciò premesso e considerato
le scriventi associazioni fanno formale richiesta perché nei rispettivi capoluoghi di provincia si istituiscano, dopo la cosiddetta ricognizione che si prevede doversi concludere entro il 31 Luglio, tavoli congiunti per un’analisi dei criteri di raccolta dati e nel caso si prevedano interventi in singole situazioni, perché esse si affrontino, in un percorso condiviso anche con tutte le altre istituzioni interessate (UNAR, ministeri su casa lavoro, scuola, salute, regioni, comuni, associazioni RSC e associazioni interessate) in base e con gli strumenti previsti dalla succitata Strategia nazionale inclusione RSC approvata dal governo italiano.

Certi della sua attenzione e in attesa di un cortese e sollecito riscontro
porgiamo i nostri migliori

saluti.

Associazione UPRE ROMA, Milano, iscrizione n. 1226 al “Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni”, art.6 dls. 215/2003;

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