L’Onu a Roma con Cittadinanza e Minoranze

Anna Pizzo
Cosa può fare l’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) in favore della condizione in cui versano rom sinti e caminanti in Italia? Ben poco, se non redigere rapporti e trasmetterli al governo italiano. Lo hanno detto, senza giri di parole, i due rappresentanti dell’UNHCR che stanno compiendo una ricognizione in alcune città italiane – Napoli, Roma e Milano – per verificare se ci siano stati miglioramenti o peggioramenti rispetto a due anni fa, quando un documento ufficiale ha bocciato senza discussione il nostro paese.
A Roma Belen Rodriguez De Alba e Claude Cahn hanno chiesto alla nostra associazione, Cittadinanza e Minoranze, di organizzare un incontro con rappresentanti di comunità e associazioni di rom per sentire dalle loro stesse voci cosa sta succedendo. Perché non venite con noi nei campi? Hanno loro chiesto alcuni rom presenti all’incontro, che si è svolto nel pomeriggio di martedì 29 gennaio nella sede del Cesv? Non possiamo, hanno risposto, perché alle nostre ripetute richieste alle istituzioni romane affinché ci dessero l’autorizzazione ad un sopralluogo nei campi, non hanno mai risposto. A Milano, invece, le ispezioni si faranno perché il comune lo ha permesso, così come a Napoli.
Se gli ispettori non possono andare nei campi, i campi possono andare dagli ispettori. Così ieri le testimonianze hanno tracciato un quadro terribile della situazione che riguarda 4500 persone (tante ancora vivono nei campi “ufficiali”) e quegli invisibili che, sgomberati dagli insediamenti non autorizzati o (come nel caso dei 400 di Camping River) non “più” autorizzati, si arrangiano in condizioni al di sotto del livello della dignità. Eppure, i testimoni che hanno disegnato la mappa della ennesima persecuzione di cui sono oggi vittime, di dignità ne hanno mostrata molta. E di coraggio nel denunciare le situazioni di totale illegalità e le cosiddette “autorità” che avrebbero dovuto sostenerli e invece li hanno perseguitati. In primo piano il comandante “sceriffo” Antonio Di Maggio di cui sono stati elencati episodi di sopraffazione e violenza anche se, hanno ammesso con rassegnazione “nessuno di noi lo denuncia per paura delle ritorsioni”. In compenso, lo “sceriffo” ha creato la propria “milizia”, il Reparto operativo coordinamento e supporto munito di un’arma micidiale, lo spray al peperoncino.
Questo il clima che si respira, questo il quadro di persone “colpevoli” di essere i paria della società. “All’ingresso dei campi – hanno testimoniato in molti – ci sono i controlli: non si entra con l’auto, anche se il tuo container è distante un chilometro e perfino le borse della spesa vengono ispezionate”. A causa di normative molto restrittive (quella per la raccolta dei rifiuti richiede autorizzazioni che vengono a costare anche mille euro) , i rom non possono raccogliere i metalli e non possono nemmeno più vendere i loro manufatti nei mercatini.
I campi sono prigioni a cielo aperto, ma senza neppure quelle regole e quei controlli che le carceri prevedono. Cancellate le associazioni che si occupavano di portare i bambini a scuola, lasciati spesso senza acqua, con topi grossi quanto gatti, scabbia e altre malattie causate dall’incuria, questo quello che raccontano i diretti interessati. Castel Romano, la “grande” vergogna fatta di 1200 persone abbandonate a se stesse e poi Barbuta, Salviati, e Camping River. Dove 430 persone vivevano da quindici anni in condizioni accettabili, i bambini andavano a scuola, e un giorno del luglio scorso si è trasformato in un ammasso di metalli accatastati da quelle ruspe che ne hanno decretato la fine. Ora quelle famiglie sono sparpagliate un po’ ovunque, chi ospiti di parenti o amici in altrettanto anguste soluzioni, chi in baracche fatiscenti appoggiate sotto qualche cavalcavia. C’è chi ancora adesso dorme nelle automobili, chi se ne è andato, chissà dove. E c’è anche chi da sessant’anni vive a Roma, per la maggior parte nel campo della Barbuta, e qualche giorno fa si è visto recapitare un documento ufficiale nel quale si dice che le famiglie che hanno 10 mila euro sul conto corrente devono lasciare il campo.
Il rappresentante dell’UNHCR, Cahn, segue questa interminabile catena di soprusi con attenzione, si appunta le cose, si fa spiegare meglio e per farlo Interloquisce in lingua romanì e così parlarsi diventa più semplice, più vicino. E’ come riappropriarsi della sola cosa che rimane loro, ed è l’appartenenza, anche se il nostro paese non è neppure riuscito, fino ad ora, ad approvare la legge per il riconoscimento di rom e sinti come minoranza linguistica.

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