Morte di una “zingara”

Nella notte del 28 maggio davanti al cancello del CES, il centro di emergenza sociale di Milano, in via Sacile, una donna di 42 anni è morta. M. lascia i genitori, il marito e tre figli.

M. dormiva su un materasso in strada, dopo che la mattina di venerdì 26 la polizia locale aveva sgomberato – distruggendo tutte le loro cose – il gruppo di famiglie che si era accampato nel boschetto a fianco del Centro. Erano perlopiù parenti degli ospiti del CES, e lo era anche M. che nel centro aveva la sorella. Così, alcuni di loro si erano accampati davanti all’ingresso del Centro e anche M. lo aveva fatto. Ieri sera – c’erano anche i suoi parenti e altri ospiti del Centro – M. ha avuto un attaccocardiaco e ha agonizzato in attesa dell’ambulanza che è arrivata dopo oltre mezz’ora perché chi in quel momento era responsabile del Centro non ha risposto alle richieste di aiuto.

Di fronte a questa vicenda, per la quale mancano le parole per descriverne l’infinita miseria e l’infinita disumanità, poche domande si devono porre all’amministrazione.

Perché è stato deciso lo sgombero di quei pochi rom accampato nel boschetto antistante il CES in contraddizione con tutte le prescrizioni – cioè senza preavviso, senza la presenza di assistenti sociali e senza proposte alternative ma soprattutto senza alcuna umanità?

Perché la persona del Centro presente non ha chiamato immediatamente l’ambulanza nonostante le insistenti, pressanti e disperate richieste degli ospiti?

Infine, questa tragedia è lo specchio della situazione generale di abbandono della comunità rom, resa emblematica dalle condizioni di un Centro che avrebbe dovuto accogliere per includere e che, nell’attuale assenza di una strategia diversa, è solo un luogo di segregazione e sofferenza.

Sono domande penose alle quali è però necessario dare risposte e ricercare eventuali responsabilità per questa morte, per il rispetto dovuto a una donna che aveva una sola colpa, essere una “zingara”.

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