Regione Lazio, il gioco dei quattro tavoli

Ci sono voluti 5 anni e una snervante e pressante sollecitazione alla Regione Lazio per ottenere, il 2 febbraio del 2015, che anche il territorio che ha la percentuale più alta di ron, sinti e caminanti, nonché la vergogna dei campi più grandi d’Europa, decidesse di attuare quanto era scritto nella normativa nazionale. Poi, dalla decisione alla prima e unica sessione in cui tale Strategia si andò componendo passò un altro anno e mezzo. Così, quando finalmente i rappresentanti delle comunità e delle associazioni si sedettero attorno ai quattro tavoli (salute, diritto al lavoro, all’abitare e all’istruzione) in sospetto che l’ennesima montagna stesse per partorire l’ennesimo topolino era forte. Ora, dopo aver letto il documento di sintesi che la Regione ha predisposto in vista dell’incontro di domani in cui lo presenterà, ne siamo certi.

Qui di seguito lo riportiamo integralmente così ciascuno si potrà rendere conto della inadeguatezza con la quale i vertici regionali si apprestano ad affrontare una condizione, quella di rom, sinti e caminanti, arrivata a un punto di non ritorno.

 

“La Regione Lazio, in attuazione delle indicazioni contenute all’interno della Strategia Nazionale di inclusione delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti, con delibera del 17 febbraio 2015 n. 63 ha istituito il Tavolo Regionale. La Regione Lazio ha rafforzato la tutela di queste popolazioni con la Legge Regionale del 10 agosto 2016 n.11 che istituisce un Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali.

A seguito degli incontri avvenuti tra l’Assessorato Politiche Sociali, Sport e Sicurezza , l’Area Politiche di integrazione sociale e tutela delle minoranze , le associazioni del privato sociale e le Direzioni regionali competenti, è stato costruito un percorso di collaborazione realizzato con la costituzione di tavoli tematici in merito alle strategie di intervento da attuare per l’inclusione delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti atte a superare gli ostacoli attraverso azioni di sistema e di indirizzo. Gli incontri sono stati organizzati per esaminare la situazione esistente, le criticità e le buone pratiche, per elaborare proposte di indirizzo relative alle quattro aree di intervento, salute, casa, istruzione, lavoro.

Nell’ottica di una implementazione delle azioni volte all’integrazione degli attori istituzionali e privato sociale, dei processi e dei servizi, il percorso partecipativo è stato fondamentale per comprendere la complessità delle situazioni in cui attualmente vivono queste popolazioni e fondamentale per porre in essere l’elaborazione di linee guida territoriali per migliorare la capacità degli enti di realizzare una piena inclusione sociale.

Gli incontri hanno permesso un confronto tra le diverse competenze ed esperienze tra gli attori istituzionali e sociali ed un’analisi tra le specifiche peculiarità dei vari territori tenendo presente i quattro assi della Strategia.
Il lavoro dei tavoli tematici ha dato luogo all’elaborazione di contributi utili per rafforzare una strategia regionale e che periodicamente potranno fornire indicazioni per la programmazione regionale finalizzata alla realizzazione di politiche adeguate per lo sviluppo e l’integrazione sociale delle popolazioni Rom Sinti e Caminanti nonché al superamento delle discriminazioni.

TAVOLO SALUTE

Il Tavolo Salute fa proprio nella sua totalità il Piano di Azione del Ministero della Salute, sia nelle indicazioni strategiche, che metodologiche, che più dettagliatamente operative, così come per quanto riguarda la descrizione della Domanda di salute.

Auspica la diffusione quanto più ampia fra i decisori dei vari livelli istituzionali (regione, comuni, ASL) del Piano di Azione con l’indicazione forte di metterlo in atto quanto prima.
Indica, come priorità assoluta in tema di tutela della salute, la normalizzazione dei percorsi di accesso alle strutture, di diagnosi, presa in carico e cura delle frange più

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marginali della popolazione: a tal fine auspica che le ASL si riapproprino della loro funzione di tutela e promozione della salute anche per i più emarginati, dando seguito alle seguenti indicazioni.

Per quanto riguarda la formazione del personale si propone di dare continuità ai percorsi formativi già avviati nella Regione, fra cui la Formazione dei Formatori del progetto “Salute senza Esclusioni: per un Servizio Sanitario attivo contro le Disuguaglianze”; programmare nel piano aziendale di ciascuna ASL almeno un evento formativo per anno sul tema dei percorsi sanitari e di accessibilità per la popolazione RSC, non sporadico bensì con continuità, così da permettere una vera acquisizione di competenze del personale sanitario e di accoglienza; inserire nel programma didattico del corso triennale di Formazione specifica in Medicina Generale seminari specifici sull’approccio transculturale dei bisogni di salute e sull’approccio alle problematiche di salute delle popolazioni RSC; coinvolgere le associazioni di categoria dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta perché organizzino corsi su tali temi, riconosciuti ECM, e ne promuovano la frequenza dei loro associati.

Per ciò che concerne la conoscenza e l’accesso ai servizi per RSC si auspica di continuare il lavoro di orientamento previsto dal progetto “Salute senza Esclusioni: per un Servizio Sanitario attivo contro le Disuguaglianze” seguendone la metodologia basata su linee di attività quali l’identificazione del gruppo di lavoro, la formazione del personale ASL, la mappatura del territorio, l’identificazione della rete socio sanitaria e il coinvolgimento della rete, l’organizzazione e attuazione delle attività sul campo; in ottemperanza alla recente normativa, realizzare campagne per l’iscrizione dei minori, anche irregolari, al PLS, con contemporanea informazione/formazione/coinvolgimento dei PLS.

Per i servizi di prevenzione, diagnosi e cura si propone di richiedere ai vertici ASL di predisporre entro 6 mesi un piano per riorientare i servizi a bassa soglia di accesso, come indicato dal Piano di Azione; in questo processo di ri-orientamento, far tesoro dell’esperienza maturata che ha portato a definire buone prassi riconosciute anche dal Piano di Azione, quali le reti locali (GrIS) e il modello di collaborazione pubblico- privato; ogni ASL dovrebbe realizzare almeno una campagna di prevenzione per anno negli insediamenti di competenza, utilizzando la metodologia partecipativa indicata dal Piano di Azione; coinvolgere a pieno titolo nelle attività di prevenzione i servizi sociali municipali perché, lì dove previste (per es. interventi di Sostegno alla Genitorialità), si attivino con interventi di educazione sanitaria e di supporto psicologico a livello territoriale, familiare o altro; completare il lavoro di rete del GrIS con un tavolo istituzionale inter-ASL che coordini aspetti trasversali: anagrafe

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vaccinale unica, controllo patologie infettive, tracciabilità dati di salute individuali, eccetera.

Inoltre si sollecita ad affrontare nelle sedi competenti e con urgenza la problematica dei documenti di riconoscimento, e conseguente iscrizione al SSN, per apolidi “di fatto” e comunitari senza documenti; si chiede di identificare con urgenza possibili alternative al pagamento ticket per la prestazione sanitaria richiesto ai possessori di codice ENI (comunitari indigenti e privi dei requisiti per la residenza); in attesa di poter constatare il definitivo superamento dei campi, i competenti uffici delle ASL dovranno assicurare la sorveglianza sulle condizioni igienico sanitarie dei campi attrezzati e richiedere alle aziende municipali addette le azioni necessarie a migliorale.

TAVOLO CASA

Nella Regione Lazio, e in particolare nella città di Roma, è di fondamentale importanza procedere, prima del 2020, al superamento dei mega insediamenti monoetnici e degli insediamenti informali, luoghi riconosciuti a livello internazionale come lesivi della dignità umana e dei diritti fondamentali. Sarà fondamentale che le istituzioni locali attivino processi inclusivi tenendo distinte le due specifiche realtà abitative e considerando sempre i contesti e le realtà delle persone che le abitano. Per quanto riguarda i mega insediamenti monoetnici è necessario superare la barriera della diffidenza e del fenomeno dell’assuefazione che accompagna la vita di molti giovani che da generazioni vivono in condizione di forte marginalità. Importante è per questo avviare un percorso condiviso, improntato sulla trasparenza e la fiducia, definito negli obiettivi e nelle modalità operative. Da parte delle istituzioni deve essere relegato al passato l’atteggiamento di puro assistenzialismo così come deve essere valorizzato il confronto individuale con i soggetti che risulteranno beneficiari di politiche di inclusione. Il superamento dei mega insediamenti monoetnici deve essere accompagnato, da parte delle istituzioni, al reperimento di soluzioni abitative diversificate al fine di poter disporre di una ventaglio di soluzioni che meglio rispondano ai bisogni delle famiglie in emergenza abitativa. Deve essere potenziato l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, occorre individuare formule di sostegno all’affitto e reperire sul mercato casali non utilizzati, sostenere nuclei che intendono acquistare terreni ad uso abitativo. In fase di inserimento abitativo un aspetto imprescindibile è rappresentato dall’ascolto e dal dialogo fatto individualmente, tra soggetto beneficiario del servizio e organo istituzionale, senza filtri e soggetti delegati alla mediazione o alla rappresentanza.

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Tale attività non può essere considerata di sola competenza di un Dipartimento comunale ma deve coinvolgere varie parti dell’amministrazione pubblica, salvaguardando competenze e priorità di interventi. Allo stesso modo la politica del superamento dei campi deve rientrare all’interno di quella rivolta a dare una risposta alle problematiche di quanti, al di là dell’etnia e dello status giuridico, si trovano in emergenza abitativa. Per tale ragione si raccomanda la soppressione di uno specifico Ufficio Comunale Rom, Sinti e Camminanti considerato che la questione abitativa non può essere trattata come una mera questione di carattere etnico.

Una politica diversa deve invece riguardare quanti abitano gli insediamenti informali. Un dettagliato censimento consentirebbe di conoscere l’entità del fenomeno e le strategie di intervento politico, nella consapevolezza che spesso si tratta di cittadini comunitari che già dispongono di un’abitazione nel Paese di origine presso il quale sperano un giorno di fare ritorno in via definitiva. Politiche di rimpatrio volontario assistito, già sperimentate in altre città italiane, potrebbero rappresentare una soluzione da prendere in considerazione. Esse dovranno essere accompagnate da una interruzione degli sgomberi forzati non in linea con le garanzie procedurali previste dal Comitato per i Diritti Sociali, Economici e Culturali delle Nazioni Unite.

TAVOLO ISTRUZIONE

Il tavolo Istruzione svolto presso la Regione Lazio, alla presenza di diverse realtà istituzionali e non, ha prodotto il seguente contributo.
Partendo da un’analisi di quelle che sono le criticità che più ostacolano la piena inclusione scolastica si è poi passati all’elaborazione della proposte che si pensa possano rendere più efficace il percorso di inserimento scolastico e formativo della popolazione RSC.

La prima azione, preliminare a tutto il resto, è una completa mappatura degli interventi presenti nella Regione, quelli istituzionali e quelli portati avanti dal mondo del volontariato e dal privato sociale, valorizzando le buone pratiche ed analizzando i punti di forza e di debolezza, e valutando la replicabilità. Sarebbe auspicabile un’analisi di impatto del “progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti” che confronti le diverse esperienze maturate nel corso delle tre annualità sperimentali di attuazione nei diversi contesti nazionali e che possa verificare l’efficacia dell’approccio e l’eventuale riadattamento al contesto laziale.

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Avere a disposizione un quadro completo di quanto attivo in favore delle comunità, dei risultati raggiunti e dell’approccio utilizzato, è fondamentale per pensare (o ripensare) interventi futuri.
L’istituzione di un osservatorio regionale come strumento di governance e di monitoraggio su: stato degli interventi attivi e sui risultati raggiunti; condizione dei minori e delle famiglie rispetto ai processi di inclusione avviati; competenze acquisite dai minori nella scuola e nell’ambito della formazione professionale; raccolta dei dati sistematica che aiuti non solo nel monitoraggio degli interventi attivi ma anche nella programmazione di quelli futuri.

Notevole importanza va data alla formazione degli operatori che agiscono nel pubblico (servizio materno infantile, asili, assistenti sociali, etc) e del personale docente rispetto ai Rom, alla loro cultura d’origine, allo status, etc;
Campagne di informazione sistematiche e diffuse sui territori volte a smontare i pregiudizi esistenti nei confronti dei rom. Tale azione è determinante per il successo di tutte le altre azioni che si programmeranno. Il ricorso a termini come “invasione”, stime in eccesso dell’effettiva presenza della popolazione RSC sul territorio, ha dato luogo in passato solo a interventi di tipo puramente emergenziale.

Diffusione della lingua e della cultura romanì nelle scuole, attraverso la distribuzione di testi e opere realizzate da artisti e intellettuali rom (scrittori, musicisti, etc), che riescano a far percepire i ragazzi presenti nelle scuole come portatori di cultura, favorendone quindi l’inserimento nel contesto scolastico. Inserimento della storia del Porrajmos nel programma scolastico, prevedendo eventualmente approfondimenti sul tema durante date simboliche (quali la settimana della memoria).

Campagne di sensibilizzazione rivolte alle comunità rom, sull’importanza della scuola dell’infanzia in quanto propedeutica a un proficuo inserimento alla successiva scuola dell’obbligo e, quindi, azione cardine alla socializzazione e al contrasto della dispersione.

Sostegno alle eccellenze e, in generale, a chi porta a termine il percorso formativo, perché tali eccellenze possano essere il traino per le nuove generazioni a intraprendere i medesimi percorsi formativi.
Figure di riferimento e di mediazione che siano congiunzione tra i genitori rom (in particolar modo quelli meno alfabetizzati) e l’istituzione scolastica, figure in grado di favorire il reciproco riconoscimento come attori formativi. Spesso, infatti, ci si trova nella condizione che entrambi gli attori (famiglia e scuola) non si riconoscano come soggetti formativi (a volte i genitori vivono l’inserimento scolastico solo come strumentale, viceversa la “scuola” pensa che i genitori dei minori rom non abbiamo strategie educative e formative nei confronti dei propri figli). L’avvicinamento di

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questi due “mondi” è sicuramente elemento determinante al successo dell’inserimento scolastico.

Mappatura periodica delle possibilità di finanziamento europeo da parte della Regione volta a diffondere la conoscenza di tali opportunità di finanziamento e facilitarne l’accesso da parte degli enti locali, con progettazioni coerenti con l’approccio del presente documento.

TAVOLO LAVORO

Nel corso delle riunioni del Tavolo Lavoro sono emerse alcune indicazioni sulle strategie da adottare per dare risposte concrete al tema dell’occupazione e della produzione di reddito tra la popolazione RSC come precondizione necessaria per il superamento dei campi.

Sono state quindi analizzate le implicazioni e la complessità che il tema stesso solleva: il possesso, non scontato, della cittadinanza italiana o del titolo di soggiorno come prerequisito per l’accesso al mondo del lavoro; i bassi livelli di scolarità tra gli adulti; l’inadeguatezza di gran parte dei curricula; gli aspetti culturali propri della comunità, intesi anche come risultante della stessa condizione di vita determinata dal campo; la più generale difficoltà nell’individuare efficaci percorsi di inserimento lavorativo.

Uno dei principi di carattere generale attorno al quale si è discusso è quello sugli interventi che dovrebbero essere programmati e gestiti all’interno delle politiche di sostegno alle fragilità rivolte alla generalità dei cittadini, e declinate nell’ottica di un “approccio mirato, esplicito, ma non esclusivo” – come affermato nel Protocollo di Cordoba 2009 (Common Basic Principles on Roma Inclusion) – e quindi concertati con il singolo nucleo familiare. Perseguire ancora oggi l’idea di un generico e uniforme stakeholder, identificato su base etnica, o quantomeno culturale, appare non solo fuorviante e inattuale, ma preclusivo rispetto alla fattibilità di successo riferita alle situazioni concrete. L’approccio categoriale ha senso ed efficacia solo se strettamente congiunto all’approccio alla persona e al suo contesto di prossimità.
Allo stesso tempo, si è posto l’accento sulla necessità di istituire una filiera corta di attuazione delle politiche di Inclusione Sociale (al di là della mera fruizione dei servizi), dove l’Amministrazione di prossimità (il Municipio nel caso di Roma) è l’ente naturalmente vocato alla funzionalità di un Sistema Locale – coerentemente ai criteri previsti dalla Strategia Nazionale d’Inclusione di Rom, Sinti e Camminanti, dove si sostiene che “la realizzazione di politiche sociali di inclusione dei Rom è, e resta, di precipua competenza degli enti territoriali”.

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Nel dettaglio, sono emerse le seguenti indicazioni: necessità di una mappatura negli insediamenti per conoscere la realtà lavorativa; regolamentare il lavoro sommerso al fine di ottenere il permesso di commerciare nei mercati prodotti artigianali; predisporre accordi con i Municipi per la raccolta di materiali ferrosi e ingombranti e per la bonifica delle are verdi; prevedere la costituzione di cooperative di servizi di pulizie, di manutenzione di aree verdi , di raccolta e riciclaggio di rifiuti solidi urbani. A sostegno di queste attività si potrebbero avviare corsi di formazione professionale e di aggiornamento rivolti ai soci delle cooperative, con la necessaria valorizzazione delle persone alla partecipazione diretta nella fase progettuale, sviluppo, attuazione dei corsi di formazione per un’assunzione di responsabilità diretta e condivisa. Utilizzare lo strumento della Borsa Lavoro (nel caso di Roma a livello Municipale) con Progetti che seguano il citato “approccio mirato, esplicito, ma non esclusivo” e che prevedano attività di Orientamento e Tutoraggio.

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