La banalità del male

Anna Pizzo
“Mi rifiuto di pensare che la nostra civiltà democratica sia sporcata da leggi speciali nei confronti di Rom e Sinti: se accadrà mi opporrò con tutte le forze”. Lo ha detto Liliana Segre, sopravvissuta alla deportazione, nel corso del dibattito parlamentare sulla fiducia al nuovo governo rispondendo all’invito che di Alberto Melloni che su Repubblica aveva scritto: “Cara Segre difenda lei i bimbi rom” riferendosi al capitolo del programma di Lega e 5 Stelle che prevede tra l’altro di togliere la patria potestà ai genitori che non mandano i loro figli a scuola.
In aula tutti l’hanno applaudita, perfino gli stessi che hanno sottoscritto il “contratto” di governo. Ma subito è partita la controffensiva: esagerazione! Ma quali “leggi speciali”? L’obbligo scolastico c’è per tutti, rom e non rom, ha detto la ministra della scuola intervistata alla radio. Ed è vero. Ma quante sono le famiglie rom a cui vengono sottratti i figli che non vanno a scuola e quante le famiglie non rom?
E ancora: se l’unica soluzione contro Mafia Capitale a Roma è stata quella di cancellare il servizio scolastico dei bambini rom e se i campi informali vengono sgomberati di continuo, se non c’è praticamente più il sostegno, se nei campi le condizioni igieniche sono precipitate al punto che (riferiscono le cronache) i bambini rom non si lavano e a scuola vengono sbeffeggiati perché puzzano.
Troppi “se” perché sia solo un caso, o fatalità.
Infatti, la signora Segre ha detto di più: “Si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti uccisi per la sola colpa di essere nati, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio significa onorare il debito storico che l’Italia ha con loro, ma anche portare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza, a non anestetizzare le coscienze ad essere più vigili”.
E’ la banalità del male, quella che incide profondamente nel tessuto sociale e lo lacera. E’ presentare un “contratto di governo” che apparentemente dice cose “innocue” del tipo che i campi devono essere chiusi. Che i rom devono lavorare. Che i bambini devono andare a scuola. Chi non sarebbe d’accordo? Il punto è che i campi si chiudono sbattendo le famiglie in mezzo alla strada o, peggio, estradandole (chissà verso dove?), che il lavoro per i rom non c’è, e che la scuola spesso è un ulteriore luogo di esclusione e non un’opportunità.
Così, agli effetti devastanti delle leggi speciali, che comunque ci sono e ci sono state, vedi i cinque anni della criminale “stagione” dell’emergenza rom del duo Berlusconi-Alemanno c’è la banalità del male quotidiano. Quello così bene descritto da Hannah Arendt: “«Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme».
E’ vero o no che oggi si considerano tollerabili affermazioni, come quelle del neo ministro dell’interno nonché vice presidente del consiglio, Matteo Salvini? Che dire “La pacchia è finita per i presunti profughi” nel giorno in cui l’ennesimo naufragio ha fatto strage di decine di persone e Soumalia Sacko, sindacalista e migrante, è stato ucciso non è più così repellente e inaccettabile dal senso comune?

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